…QUESTO
CINEMA VA DISTRUTTO
Intervista a Nico D'Alessandria
a cura di Francesca Cantarutti e Luca Franco
L'intervista è stata realizzata il 4 dicembre 2000 nello
studio di Nico D'Alessandria, al quartiere Trieste a Roma.
Prima di iniziare a parlare del tuo ultimo
film "Regina Coeli", volevo che ti presentassi, che ci
raccontassi la tua storia di regista. Hai frequentato il Centro
Sperimentale di Cinematografia, e ne sei uscito con un saggio su
di una poesia di T.S. Eliot: Il Canto d'Amore di Alfred Prufrok,
con la voce di Carmelo Bene. Poi hai fatto delle cose come i cinegiornali
liberi con Zavattini, documentari notevoli come l'Occupazione delle
case a Decima e quello sul bombardamento della cupola di San Pietro:
Orate Frates. Quindi possiamo dire che hai attraversato il cinema
italiano, sei un po' un testimone prezioso del cinema italiano….
hai come dire una visione globale…
Ho cominciato nel '65 facendo il Centro Sperimentale, prima
leggevo così qualcosa per prepararmi agli esami, però
diciamo anche che poi ho interrotto. Perché ho fatto più
politica che cinema, poi ho ripreso, nel '78, prima con una cosa
alla radio, sei ritratti di malati di mente, Processi Mentali. Scelsi
la radio proprio per non avere le immagini...
Come hai vissuto il Centro Sperimentale di quegli
anni?
Più che vissuto l'ho occupato per due anni e ho avuto
la possibilità di girare, di imparare con qualcuno che insegnava
veramente il mestiere. Ho girato due film.
Chi è stato il tuo maestro?
L'oscuro Petrucci Antonio, democristiano. Aveva fatto un
paio di film prima di passare direttamente alla scuola. Era molto
impegnato nell'insegnare il problema dello scavalcamento di campo.
Era quello il suo cavallo di battaglia ed in Regina Coeli c'è
uno scavalcamento di campo sottolineato: ecco come si scavalca un
campo, oscuro Petrucci!
Hai sempre lavorato da solo?
Ho sempre lavorato con Giuliana Mancini, la mia compagna.
Tutti i miei lavori li ho fatti con lei, dopo che mi sono separato
dalla mia prima moglie, per motivi politici.
Quindi la politica è una cosa molto importante
per la tua vita?
Si continua ancora oggi ad interessarmi, è uno spettacolo
molto divertente, meglio del cinema attuale, secondo me.
Tu che ci stai in mezzo dagli anni '60 e hai
visto poco a poco distruggersi il cinema italiano, cosa è
successo secondo te?
Bisogna risalire ad anni precedenti al '65, quando io ho
cominciato quindi, in un momento in cui io non sono stato un testimone
diretto: subito dopo la guerra, è arrivato in Italia il cinema
americano portandosi appresso tutta una serie di leggi e provvedimenti
che lo hanno favorito, ma soprattutto hanno permesso che invadesse
il mercato fino ad oggi; queste leggi non solo sono rimaste ma sono
anche peggiorate. Ciò ha determinato la crisi del cinema
italiano in tutte le sue forme, da quelle finanziarie a quelle produttive.
L'unico modo per resistere e controbattere l'invasione americana
è stato per alcuni, - pochi - fare politica di monopolio:
quindi vediamo emergere, successivamente, i vari Cecchi Gori e Berlusconi.
Gli altri piccoli e meno forti, hanno trovato e trovano ancora oggi
nel concentrarsi, l'unico modo per resistere; facendo, però,
un altro tipo di monopolio che naturalmente sappiamo essere verticale
e che comprende anche le sale.
La situazione quindi è quella di un paese sempre più
colonizzato, culturalmente colonizzato. C'è stato pure un
vero e proprio genocidio culturale, di autori che sono stati uccisi
come autori, come possibili portatori di una cultura.
E' strano ed è anche molto bello fare
questa intervista a te oggi, perché proprio questa mattina
è stato consegnato il Diploma Honoris Causa a Dino De Laurentis,
(La cerimonia si è svolta alla Scuola Nazionale di Cinema,
ex Centro Sperimentale di Cinematografia) che ha fatto un discorso
ripercorrendo tutta la storia del cinema e ha detto che nel momento
in cui è cambiata la legge e i finanziamenti venivano dati
solo ai film con 100% di capitale italiano, quindi non potevano
più fare coproduzioni, lui se n'è andato ed ha individuato
in questa legge qui la morte del cinema…e ha dato una sorta
di ricetta per fare una legge che secondo lui salvi il cinema. Praticamente
ridare libertà al produttore che può essere anche
il regista, ridare la possibilità anche di cooprodurre il
film, legando i finanziamenti al capitale e a salvaguardare così
il cinema italiano, che lui vede sempre più un come un cinema
nord europeo...
Mi sembra una soluzione all'americana. Invece il cinema
non va salvato, il cinema va distrutto. E' talmente forte il cinema,
è talmente potente….se tu pensi a tutto quello che
fa il cinema oggi, che non puoi dire io faccio questo cinema, che
sei matto. Perché devi fare questo cinema? Questo cinema
va distrutto. Quindi io sono felicissimo che ci sia un calo del
25% degli spettatori nelle sale, un 25% in meno che va tutto a discapito
dei grandi monopolisti. Io personalmente non perdo niente, non ho
niente da perdere. Io ricostruisco un cinema nuovo, diverso, io
e chi ci vuole stare. Quindi una ricetta per salvare questo cinema,
per carità, non mi interessa proprio.
E dell'articolo 8 ex art.28, del Fondo di Garanzia
che ne pensi?
L'art.28 ha una storia. Dobbiamo pensare a quello che è
stato nella storia: ha dato cioè una possibilità a
moltissimi autori di esprimersi al di là del mercato ufficiale;
poi invece seguendone l'evoluzione, arriviamo ad un'esaltazione
sproporzionata del ruolo dell'esordiente: non viene più dato
il finanziamento, cioè, se uno non fa un'opera prima. E perché?
Questo tipo di aiuto fu studiato appositamente per aiutare la partecipazione
dei lavoratori, degli artisti, etc. etc. e viene invece negato se
uno ha già girato un film. Ci troviamo di fronte all'imbecillità
pura. La base è rimasta, giustamente quella della legge Corona,
cioè la partecipazione ai costi di produzione dei lavoratori,
degli artisti etc. etc. Poi si sono sovrapposte una serie di interpretazioni,
l'ampliamento del tetto del fondo perduto non più del 30%
a ma del 90%, insomma tutta una serie di innovazioni che di fatto
hanno consentito una facilità enorme nel produrre film. Purché
fosse il primo o al massimo il secondo. Il che è assurdo,
perché se ci sono degli autori che hanno delle cose da dire
e non trovano spazio sul mercato, perché non ce n'è
per film non commerciali e quindi ti viene negata questa possibilità
perché non sei esordiente. Perché non ti possono inserire
nel meccanismo; un esempio tipico di questo inserimento nel meccanismo
è la funzionalità al sistema di certe cose, per esempio
tutto questo spazio dato ai cortometraggi. Uno che fa un cortometraggio
è un regista che fa pratica, impara, ma dopo che farà?
Può fare la pubblicità o la regia di queste piccole
cose di cui c'è un consumo enorme. Ed ecco quindi che l'autore
del cortometraggio, secondo me, serve solo a pompare tutto questo
meccanismo, tutto questo enorme consumo di piccole cose, questo
mercato delle immagini che poi è assolutamente ripetitivo
e totalmente finalizzato al consumo ed all'acquisto di merci.
Ma secondo te per far risalire o meglio per
dare spazio a chi come te vuole fare un certo tipo di cinema, per
chi soprattutto, vuole dire qualcosa attraverso il cinema, con questa
legge che non funziona che cosa si potrebbe fare?
Molto innanzitutto dipenderà dall'educazione all'immagine
fatta nelle scuole. Perché i giovani se educati bene ed in
teoria gli insegnanti preparati ci sono, possono cambiare le cose,
perché il cambiamento non va portato solo a livello di autori
ma anche e soprattutto a livello di pubblico. Il pubblico va riconquistato
e rieducato. Insomma bisognerebbe fare tutto con moderazione io
il cinema lo faccio con estrema moderazione, un film ogni 6,8 anche
12 anni.
Intervistando i Manetti Bros. (quelli di "Zora
La Vampira"), è venuto fuori che la cosa che li ha più
infastiditi durante le riprese, è stato proprio questo enorme
meccanismo produttivo di Cecchi Gori; loro
parlavano di 7 camion che li seguivano, quindi rallentavano il tutto.
Hanno parlato di un meccanismo di uniformità che li ha massacrati.
Tu in qualche modo sei mai arrivato a contatto con tali problematiche?
Come no. Io il problema dei camion me lo sono posto concretamente
ed ho cercato di risolverlo nel migliore dei modi prendendo sempre
il più piccolo possibile; ma mi è capitato anche il
camion grande che è sicuramente molto più difficile
da gestire.
Parliamo di "Regina Coeli", un film
secondo me molto bello dove ho visto una cosa molto particolare:
parte cioè come se tu prendessi in giro questa ultima tendenza,
questo modo di girare che va di moda adesso…e poi invece rivolti
tutto alla fine ed esce fuori questa terribile solitudine della
protagonista che tra le altre cose è la felliniana Magali
Noel ("la gradisca di Amarcord"). Solitudine che sottolinea
che la vera prigione non è dietro le sbarre ma all'interno
di noi stessi e di come, l'amore è sempre un mezzo usato
da noi per fuggire da un qualcosa. Tra l'altro io ho avuto la splendida
opportunità di vedere il film, alla proiezione tenutasi all'interno
del carcere di Rebibbia, è stata una esperienza molto toccante.
Io speravo che questo appuntamento un po' particolare potesse
attirare i critici. Speravo attraverso il Sindacato Critici che
si potessero smuovere invece, è venuta solo la Conferenza
Episcopale Italiana ad intervistarmi. Ma la vera amarezza è
vedere la sala vuota. Dopo tutto questo sforzo e poi soprattutto
pensare che si potrebbe fare poco per avere di più. Non ci
vuole poi molto a riempire una sala. Però ci sono state delle
presenze eroiche, casuali che hanno salvato le proiezioni dallo
zero assoluto. Molte proiezioni purtroppo hanno fatto lo zero assoluto.
Quanto ti è costato "Regina Coeli"?
500 milioni, completamente autoprodotto. Ho perfino dato
in garanzia l'ipoteca sulla casa. Mi viene anche rimproverato che
io l'ho potuto fare perché avevo la casa. Ma io ho la risposta:
il 50% degli italiani lo possono fare perché hanno la casa
di proprietà, per non parlare dei registi che sono il 100%
a possederne anche più di una. Ma non lo farebbero mai.
Tu vai controcorrente: hai fatto un film su
di una storia poco cinematografica o addirittura anti: la capacità
di una donna matura di innamorarsi di nuovo dopo tanto tempo può
essere giudicata anticinematografica….
Si può essere vero, perché spesso queste storie
sono quasi sempre viste al maschile. Ho voluto usare la bellezza
della vecchiaia femminile che sa essere dolcissimamente spietata.
Magali l'ho conosciuta nell'87, lei aveva 55 anni ed era bellissima,
stupenda, sembrava una fata. La conobbi al festival di Annecy, praticamente
mi innamorai e mi rimase nel cuore di fare un film con lei, come
se fosse stata Marilyn Monroe. Mi sarebbe anche piaciuto fare un
nudo…..ma ci sono sempre le concessioni che si debbono fare
rispetto a quello che uno vorrebbe. Questa caratteristica per esempio
mi accomuna al grande Rossellini Roberto, questa trasandatezza che
c'è nei suoi film o noncuranza della perfezione purché
si arrivi al risultato, perché se ci si perde ad inseguire
la perfezione si diventa Visconti.
Anche Ferreri era così come dici tu trasandato…
E' vero anche Ferreri era così. Ferreri per esempio
è uno dimenticatissimo, finché era ancora vivo, presente….dopo
lo hanno completamente rimosso, come anche Elio Petri, quando morì
scomparve nel nulla.
E De Santis? Come consideri il suo cinema ?
De Santis era una brava persona, io purtroppo l'ho conosciuto
poco, il suo cinema è forse un po' meno appariscente, forse
non aveva quella grinta di altri.
E i tuoi rapporti con i registi italiani, adesso?
Ottimi, mi vedono come se fossi il matto. Ma ci sono dei
giovani che stanno facendo due film su di me. Due gruppi distinti.
Il primo gruppo ha scelto come filo conduttore L'imperatore di Roma
e il secondo invece L'Amico Immaginario, questo ultimo gruppo ha
già terminato di girare e sta in fase di montaggio. Mentre
gli altri hanno addirittura insertato alcune scene, dei tagli mai
utilizzati de L'Imperatore di Roma, sono sorpreso di me stesso.
Tu fai un discorso ben preciso, analizzi degli
aspetti come la devianza, l'emarginazione, la follia, la solitudine,
la vecchiaia che, in un certo qual modo, ricordano il discorso sulla
pazzia che faceva Foucault; tu hai una idea politica ben precisa
del potere e in Regina Coeli sei riuscito a renderla in maniera
emozionale…..ma soprattutto: come ti è venuto in mente
un film come Regina Coeli?
La devianza come follia è stato il tema de L'Imperatore
di Roma e di Processi Mentali, qui c'è la vecchiaia e la
solitudine. Anche Passaggi era un film sulla vecchiaia che ho girato
nel 1980. Volevo fare una storia d'amore o meglio, un film sulla
capacità di una donna anziana di innamorarsi; è un
omaggio ciò che ho voluto fare, l'augurio di potersi sempre
innamorare a qualsiasi età. L'altro protagonista, Graziano
è un pastore sardo accusato di rapimento e giudicato nel
Continente e non nella sua terra; il Codice Barbaricino (della Barbagia,
ndr) a cui lui appartiene, lo pone fuori dalla giustizia nazionale,
per Graziano - Luciano Curreli - la possibilità di tornare
in Sardegna è tutto. Il fatto che si inserisca una storia
d'amore vissuta molto limpidamente, non vuol dire che il rapporto
d'amore sia solo strumentale; la storia nasce dalla mia conoscenza
dei pastori sardi in seguito ad un Dossier per il TG2 che feci anni
addietro. Mi è venuta in mente la Sardegna che come mi hanno
detto, nel mio film è molto presente - ma per assenza. Sono
molto contento di portare questo film in Sardegna, è stato
molto apprezzato per come tratto la diversità dei sardi che
sono un'altra cosa rispetto a noi del continente; i sardi sono diversi,
sono un altro popolo.
In Regina Coeli, la follia è vista attraverso l'amica della
protagonista che poi è anche, però l'unica che l'accompagna
nel suo viaggio di lucida follia. Dai miei film non emerge la cupezza
che è "l'immagine" dei film indipendenti. Per esempio
hanno detto de L'Amico Immaginario del '93 che è un film
triste. Ma che scherziamo! Non era affatto triste. Perché
il più delle volte, si collega spesso, film italiano indipendente
con pesante…
Si, fin troppo spesso non si va oltre.
E' stato difficile avere i permessi per girare
all'interno del carcere di Rebibbia?
Si, non è stato per niente semplice, anzi abbastanza
complicato. Ho avuto anche tutta una pratica di revisione della
sceneggiatura: ho dovuto tagliare una scena ritenuta troppo violenta
e dei gesti con delle battute. Per me era fondamentale girare dal
vero all'interno di Rebibbia - oltre che per il risparmio notevole
- soprattutto evitare di doversi inventare cose che non si conoscono
veramente, cose che hai solo letto sui libri o hai visto al cinema.
Per questo girare all'interno del carcere era fondamentale. Ma è
stato anche faticosissimo poiché era un carcere vero, noi
tutti venivamo trattati come visitatori esterni qualsiasi e quindi
sempre accompagnati, seguiti, chiavi, porte, corridoi…..
Adesso però, devo lavorare parecchio perché ho dei
debiti pazzeschi e sono anche spaventato dal fatto che mi sta per
cambiare la formula produttiva.
Quindi hai degli altri progetti che stanno per
partire?
Si vorrei fare delle cose che mi stanno a cuore veramente.
Come questo progetto a cui sto lavorando che era molto legato alla
presenza di Vittorio, Victor Cavallo.
Una storia che ruotava molto intorno alla sua vita. Vittorio è
un altro personaggio che ha fatto parlare di se più da morto
che da vivo. Anzi adesso stanno per essere pubblicate anche delle
cose che lui ha scritto, delle poesie ma anche pezzi di prose e
dei disegni. Ho un bellissimo disegno che mi ha fatto Vittorio,
una settimana prima di morire. Si è fatto 5 piani a piedi,
ha preso un foglio: ha disegnato un seggiolone per bambini che ho
di fronte alla finestra della cucina da cui si vedono i tetti, con
un fagottino di vestitini vuoto e un cappello sospeso da cui esce
uno spiritello con le alucce che vola via. Credo che sia diventato
lui il mio amico immaginario preferito. Ma anche Jerri, cioè
Gerardo Sperandini ( il protagonista de L'amico immaginario) che
è morto 20 giorni prima di Vittorio. Ogni tanto o meglio
spesso, mi vengono alla mente i loro gesti, i loro modi di fare,
per esempio Gerri beveva la birra, era sempre come se suonasse la
tromba…
Raccontami di Jerri….
Jerri mi era stato affidato, anzi diciamo che l'ho salvato
dall'ospedale psichiatrico a vita, dove il padre maresciallo di
polizia, lo aveva fatto rinchiudere andandosi a raccomandare personalmente
dal giudice ("per un po' di tempo" - diceva - "perché
si riprenda" - come ho raccontato nel film
L'Imperatore di Roma) Gerardo stava nel manicomio di Aversa
e in parte non stava neanche male perché c'era un bravissimo
direttore.
Hai visto qualcosa di interessante ultimamente
al cinema, che so questo fenomeno del Dogma…
Al cinema ci vado con fatica, molta. Del cinema attuale,
tipo questo Dogma, penso che ci crediamo solo noi italiani; anche
loro hanno il diritto di divertirsi, fanno i manifesti e poi vanno
in giro per il mondo. Anche se ci sono alcune cose belle, come per
esempio Festen", bellissimo o a me è piaciuto anche
"Le Onde del Destino".
Ma non c'è una vera e propria tecnica, secondo me. La vera
differenza, è tra il girato in digitale e quello in pellicola,
tutto il resto fa parte di quella grande divisione tra tecnologie.
Due tecnologie totalmente differenti tra loro in tutto; loro dicono
di usare la telecamera, il video, io personalmente sono per l'uso
nel cinema, della pellicola e della cinepresa come la usavano i
Lumiere. Magari si può scegliere una macchina da presa muta,
quelle leggere tipo la Atom che ho usato io, che si può portare
a spalla. Ma ripeto che la vera differenza, è tra le tecniche
cinematografiche e quelle digitali della televisione; sono proprio
le macchine che fanno la differenza. E tutta questa tecnologia considerata
ormai superata, viene pian piano dismessa a favore del nuovo mezzo
tecnologico e quindi, sempre più si sostituiscono i mezzi
cinematografici con quelli televisivi ma sempre di più si
liberano i costi per mezzi considerati vecchi e che invece non invecchieranno
mai.
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